I tre livelli del fenomeno dell’isolamento domestico – parte 2
Se dunque, come visto nella prima parte del nostro articolo, consideriamo l’assenza dei familiari e l’interruzione dei precedenti legami d’amicizia per questi soggetti oramai ai margini, il vicinato resta l’unico vincolo concreto che li congiunga con l’ambiente umano al di fuori delle mura di casa (se non per qualche fugace acquisto nei negozi) e, anche quando ostile e litigioso, resta spesso l’ultimo presidio di sicurezza rimasto a monitorare anche la semplice esistenza in vita (!!) dei soggetti più fragili e in stato di completo isolamento.
Queste tensioni sono acuite dal fatto che in molti casi questi soggetti oltre a creare preoccupazione per le condizioni igieniche del condominio e disagi per le esalazioni di odori spesso davvero pungenti, abbiano accumulato morosità di vario genere per quanto riguarda le spese condominiali e quasi mai partecipino alle assemblee proprio in virtù della propria problematica.
Gli ostacoli nell’accesso all’abitazione e la precarietà degli ambienti sono infatti condizioni in grado di mettere in serio pericolo l’incolumità e la tranquillità degli altri condomini, considerando anche rischi di incendio, esalazioni di gas e di esplosioni dovute alla pessima manutenzione degli Impianti, in particolar modo se si tratta di anziani.
È frequente che questo conflitto con i vicini di casa prenda una deriva non risolvibile nell’ambito dei rapporti ordinari e che finisca per coinvolgere le autorità; una percentuale significativa di individui con un disturbo di sindrome d’accumulo particolarmente grave sono coinvolti in procedimenti legali di sfratto.
Sottolineiamo il concetto di “povertà relazionale” perchè nel nostro paese è raro che la popolazione anziana si trovi in reali condizioni di indigenza economica e di precarietà abitativa, anzi quasi sempre si tratta di soggetti che vivono in case di proprietà e in una situazione abitativa stabile da decenni, con rischi di sfratto piuttosto contenuti.
Considerando che più spesso si tratta di soggetti con un titolo di studio medio-alto, e che durante la propria carriera lavorativa hanno di conseguenza ricoperto incarichi qualificati e dispongono di pensioni proporzionate all’attività svolta; per molte di queste persone è proprio la fine dell’attività lavorativa a scatenare l’insorgere o l’acuirsi di un disagio psichico che può trasformarsi in Sindrome di Diogene e isolamento domestico.
Il terzo cosiddetto “livello” è invece quello di carattere medico-sanitario e riguarda la dimensione del disagio psicologico, spesso con connotazioni psichiatriche evidenti ma quasi mai diagnosticate; in molti casi si tratta di situazioni magari già segnalate ai servizi territoriali competenti ma mai effettivamente prese in carico perchè il soggetto colpito ha sempre opposto resistenza ai trattamenti e al supporto psicologico di primo livello.
Tali situazioni sono rese più spinose dal fatto che nel caso degli anziani quasi sempre questi casi siano erroneamente e superficialmente derubricati (anche dagli stessi familiari) ad “Alzheimer e demenza senile”, lasciando in ombra problemi di matrice psichiatrica con tutti gli effetti immaginabili; I soggetti stessi colpiti da sindrome di accumulo compulsivo non si riconoscono infatti come persone “problematiche”, considerano la malattia mentale qualcosa di avulso ed estraneo alla loro vita e rifiutano dunque di ammettere qualunque valenza psicologica o psichiatrica della loro sofferenza.
La prima emblematica manifestazione di questo profondo disagio può essere la disposofobia attraverso l’accumulo di oggetti e manufatti di ogni genere, acquistati o raccolti anche per strada o dai bidoni, che riflette una condizione di abbandono e di “vuoto” interiore che queste persone hanno e che provano a colmare riempiendosi di “certezze”, cose ed oggetti sempre e costantemente a disposizione e sulle quali credono di avere pieno controllo (a differenza delle più complesse relazioni umane, compresa quella con se stessi).
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