Più di un anno intero condizionato dall’incubo della pandemia da Covid 19, come quello appena trascorso, non poteva non lasciare profondi segni sul vissuto di molti, soprattutto per alcune categorie sociali già piuttosto fragili e in difficoltà; persone di origine, età e categoria sociale eterogenee, spesso già condizionate da uno stato di emarginazione che ne ha indebolito le reazioni e a serio rischio di cadere nel baratro del cosiddetto “barbonismo domestico”.
Un problema, quello della cosiddetta “Sindrome di Diogene”, che è tornato prepotentemente d’attualità nella cronaca recente con alcuni tragici casi di anziani deceduti in casa dopo mesi di silenzio completo e nessun contatto con i familiari, come accaduto a Roma e Milano.
Persone sole, disorientate e senza riferimenti in famiglia o tra gli amici, in una condizione nella quale si perde più facilmente il senso della realtà e può risultare arduo porsi l’obiettivo di affrontare di petto le proprie difficoltà materiali, con la tendenza ad accumulare immondizia in casa senza neppure accorgersene inizialmente, per poi degenerare in situazioni davvero indicibili.
Una patologia che sta colpendo una percentuale non così trascurabile della popolazione rispetto a quando si potrebbe credere e che spinge in maniera progressiva ma spesso inesorabile un gran numero di soggetti alla parziale o completa emarginazione sociale.
Un fenomeno che riguarda, in maniera inaspettata per chi non è “del settore”, una percentuale più significativa di soggetti benestanti rispetto agli indigenti, e più di frequente le zone agiate delle nostre città rispetto ai quartieri popolari ; forse perché oramai, specie nei quartieri “signorili” si sono oramai del tutto dissolti i rapporti di vicinato, in nome di una “riservatezza” che sfocia spesso in una totale indifferenza nella quale viene meno anche la minima conoscenza tra vicini di casa che talvolta ancora permane nelle zone più periferiche.
E il Covid ha drammaticamente fatto esplodere le situazioni di isolamento già in essere, con tutti noi chiusi in casa spaventati anche dalla nostra stessa ombra e con poca voglia di aprirsi alla conoscenza altrui o di offrire la propria presenza ad “estranei” di qualsivoglia genere, se già ci è stato impossibile frequentare parenti stretti e amici.
I nuovi “barboni domestici” sono quindi diventati ancor più dei fantasmi, soggetti che già tendono spontaneamente a scomparire e a non dare segnali della propria presenza, da inizio 2020 sono stati lasciati ancor più a sè stessi anche dai pochi che faticosamente hanno provato
a prendersene cura e, come ultimo baluardo, sono rimasti i Servizi Sociali, i volontari delle associazioni se non addirittura le forze dell’ordine.
Un fenomeno sociale che sta colpendo una percentuale non così minima della popolazione, soprattutto tra gli anziani, rispetto a quando si potrebbe credere e che progressivamente li spinge all’emarginazione sociale.
Icasi segnalati dai servizi sociali sono in gran parte dei soggetti ultrasessantacinquenni, soli e malati, con un quadro familiare disgregato non per forza per ragioni economiche ma più spesso per la rottura dei rapporti con figli e nipoti, spesso dettata da uno stato di malattia psichica non per forza già accertata ma già evidente “de facto” e a volte irreversibile.
E’di pochi anni fa il primo testo interamente dedicato alla tematica, del sociologo romano Luca Di Censi, sociologo autore del volume “Uno studio sul barbonismo domestico nell’area metropolitana di Roma. Tra povertà, Sindrome di Diogene e disposofobia”, che pur partendo da una dimensione prettamente territoriale, come quella della provincia di Roma dal 2002 ad oggi, offre un quadro molto preciso e strutturato della situazione di un fenomeno in crescita esponenziale.
Solo tra il 2013 e il 2014 nella Capitale sono stati segnalati quasi 700 casi di barbonismo domestico sottoposti all’attenzione dei Servizi Sociali di Roma, con tutte le fasce di popolazione dall’adolescenza in avanti coinvolte, in gran parte soggetti del tutto “sconosciuti” prima di allora alla rete di servizi socio-sanitari del territorio o, presi in carico in passato dagli assistenti solo per brevi periodi e dopo di allora non più agganciati in alcun modo ad essi.
Gli individui segnalati sono quasi tutti italiani, con solo un 3% di soggetti di origine straniera in un equilibrio quasi assoluto tra uomini e donne ma con una lieve predominanza di queste ultime (circa il 52% del totale), in totale allineamento con la distribuzione demografica italiana.
Per quanto riguardo le fasce d’età prevalgono nettamente gli ultrasettantenni, con circa il 49% di over 74 e il 21% di individui tra i 65 e i 74 anni, mentre complessivamente gli under 65 sono solo il 30 % circa del totale dei casi.
E’ evidente che si tratti di fasce d’età più facilmente soggette a tutta una serie di patologie fisiche e spesso anche di carattere psicologico in grado di far scivolare soggetti più problematici in situazioni di grave marginalità; anziani solitari (in 6 casi su 10) spesso per scelta, ma talvolta per tragiche cause naturali o per la completa rottura nelle proprie reti familiari e sociali, il 45 % delle persone risulta celibe o nubile, il 27 % è composto da vedovi che quasi sempre si sono trovati in questa condizione poco dopo essere rimasti soli.
Rilevante la percentuale di persone con trascorsi di dipendenze da sostanze alcooliche, stupefacenti se non anche da abuso di medicinali, già in partenza condizionate da un significativo isolamento relazionale e maggiormente esposte all’abbandono sociale.
Chi soffre di questo grave disagio dunque è trasversale a condizioni economiche, età, ceto sociale e livello di studi; basti pensare che oltre il 40 % dei soggetti seguiti dai Servizi Sociali per problematiche del genere, è in possesso di diploma o di una laurea e dunque trattare o o leggere il fenomeno in una ottica di categorie di benessere economico o ruolo sociale risulta assolutamente riduttivo e fuorviante.
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